venerdì 23 agosto 2013

Può un tifoso dei Red Sox guidare New york?

Bill de Blasio (DP)

Cosa conta per essere un buon sindaco? Quali sono le qualità che consentono agli elettori di comprendere se un candidato è degno di amministrare una città, magari una metropoli da milioni di abitanti?
A quanto pare il senso del bene pubblico, le idee innovative e persino l'appartenenza politica a questo o quel partito passano in secondo piano, quando entra in campo la fede sportiva.

Negli Stati Uniti il 5 novembre si voterà per eleggere il nuovo sindaco di New York, città strenuamente democratica nelle elezioni nazionali ma governata initerrottamente dal 1994 da sindaci di estrazione repubblicana, prima Giuliani e poi Bloomberg. Proprio Blooomberg, l'attuale primo cittadino, sarà costetto a lasciare la carica essendo ormai in dirittura d'arrivo del suo terzo mandato (limite da lui stesso fissato modificando la legge precedente che lo limitava a due), e senza incumbant che possano essere in qualche modo favoriti, la competizione è oggi più aperta che mai.
Non stupisce quindi che le primarie, ed in particolare quelle democratiche, siano viste con grande attenzione dalla popolazione newyorkese e dai media.

Colpisce, invece, che da un paio di giorni sia sorta all'interno dell'entourage democratico una polemica del tutto sportiva, che nulla ha a che fare con la politica e l'amministrazione cittadina. In un passaggio di un'intervista rilasciata al New York Times, Bill de Blasio, già difensore civico cittadino e candidato alle primarie democratiche, ha ammesso piuttosto candidamente di essere un fan della squadra di baseball di Boston, i Red Sox, rivali storici della squadra di New York, gli Yankees. Un po' come se Matteo Renzi avesse ammesso in campagna elettorale di essere juventino.

Tra Red Sox e New York Yankees vige una rivalità ormai quasi secolare, che affonda le sue radici nella cessione-simbolo di George Herman "Babe" Ruth dai Sox agli Yankees nel 1920, cessione che costituì la chiusura di un periodo di splendore per la squadra di Boston - che sarebbe sprofondata in un digiuno dalle vittorie di oltre ottanta anni - e al contrario l'apertura di un ciclo vittorioso per gli Yankees.
Una rivalità talmente sentita che persino l'attuale sindaco di New York, Bloomberg, fu aspramente criticato per essersi presentato allo stadio, pur nella curva degli Yankees, con un paio di calzini rossi, il simbolo dei Red Sox.

Le parole di Bill de Blasio hanno immediatamente monopolizzato l'attenzione dei media, diventando negli ultimi giorni il tema portante della campagna delle primarie democratiche e, in prospettiva, della campagna elettorale, con attacchi anche da media repubblicani come la Fox.
La notizia, pubblicata in esclusiva sul New York Times, è poi stata ripresa da tutte le agenzie di stampa e via via dagli altri media.

A Red Sox fan as New York mayor?, titola la Fox, con tono tonante e minaccioso, legando indissolubilmente la fede sportiva di Bill de Blasio con il suo operato politico e paventando la trasformazione di New York addirittura in una succursale di Boston.
Persino il think tank Political Wire, formalmente indipendente ma considerato di tendenze liberal nonché nella classifica dei dieci blog liberali più letti negli Stati Uniti, si pone la questione: Può un fan dei Red Sox diventare sindaco di New York?

La notizia rimbalza al di fuori dei confini cittadini fino ad arrivare persino in Gran Bretagna dove è stata ripresa dal Telegraph, ma naturalmente è arrivata anche a Boston, dove il Boston Magazine mellifluamente invita a separare politica e sport ma si schiera apertamente con la candidatura di Bill de Blasio, dopo questo coming out.

Il fenomeno, naturalmente, non è solo americano; un caso anche recente in Italia risale al 2011 quando durante le elezioni comunali di Bologna il poi eletto Virginio Merola, notorialmente poco interessato al calcio, si finse tifoso della squadra cittadina, salvo poi scivolare in clamorosi svarioni quando poi interrogato in merito dai media.

La fede sportiva costituisce un enorme fattore di identificazione, un collante sociale di indubbia e comprovata forza; nel corso del XX secolo sono progressivamente caduti diversi tabu identitari sotto la spinta della globalizzazione e delle lotte per la conquista dei diritti civili; il Paese di origine, il colore della pelle, la religione, per quanto ancora tristemente in grado di condizionare la vita delle persone, hanno molto meno valore di un tempo nella definizione di un "noi" contrapposto ad un generico "loro".
Nei campanililsmi che da sempre animano l'interazione tra le grandi città di un Paese la fede sportiva è - probabilmente assieme alle specialità alimentari e dove possibile alle realtà industriali in concorrenza - forse uno dei pochi temi identitari rimasti.
Il sentiment di una New York conquistata da Boston se Bill de Blasio dovesse vincere le primarie e poi le elezioni comunali è la reazione, per certi versi anche da considerarsi naturale, di chi sovrappone la fede sportiva all'appartenenza istituzionale, di chi fonda sull'equazione New York uguale a New York Yankees la colonna portante del proprio essere newyorkese e esternalizza questo sentimento reagendo all'idea di avere un sindaco dei Red Sox come ad un sopruso o appunto ad un'invasione.

Ciò che è forse meno comprensibile e naturale è il ruolo dei media, che hanno amplificato la vicenda per proprie ragioni economiche o politiche.
La scelta di trattare la confessione di una fede sportiva come uno scoop giornalistico risponde indubbiamente a stimoli economici, ma il peso dato ad una particolare notizia non fa che alimentarne la percezione di importanza da parte del pubblico, alimentando un circolo vizioso senza controllo: per una fetta economicamente consistente di pubblico la notizia della fede sportiva del candidato è una notizia importante, allora il New York Times la tratta alla stregua di una notizia da prima pagina, cosa che conferma l'importanza della notizia a chi già la riteneva importante e ne fa risaltare l'importanza a chi non la considerava tale, rendendo ancora più probabile che una notizia simile in futuro venga trattata nella stessa maniera.
Peggio ancora, naturalmente, è la scelta di tentare di cavalcare la notizia per scopi politici: dare maggior risalto alla notizia su un media repubblicano perché si sta parlando di un candidato democratico significa fare leva sulle pulsioni irrazionali del cittadino per il conseguimento di un obiettivo politico, un tentativo di manipolazione delle masse tra l'altro di comprovata efficacia.
Viene quindi meno la funzione sociale e per certi versi educativa dei media, che si mostrano semplici organi di propaganda di poteri economici o politici, che mostrano le notizie o nella forma che sanno essere quella preferita dal proprio pubblico, oppure nella forma in cui vogliono che il proprio pubblico le recepisca, rinunciando non solo a pretese di obiettività e senso della misura, ma anche all'idea farsi protagonisti di un'evoluzione culturale e sociale del cittadino che non risponda alla legge del mercato o a interessi di una singola parte politica.

Colpisce infine come il tema identitario, da sempre uno dei cavalli di battaglia delle destre di qualsiasi paese, sia ormai diventato un problema anche a sinistra - con le dovute differenze tra la sinistra americana e quelle europee: che persino un think tank di impronta liberale arrivi a chiedersi se sia opportuno che New York abbia un sindaco tifoso dei Red Sox in maniera avulsa dalle sue qualità amministrative, o addirittura che consideri la fede sportiva di un candidato come un parametri rilevante dal punto di vista politico ed elettorale, è un evidente ripiegamento dalle logiche di apertura e inclusione da sempre nelle corde di chi si professa liberale. O almeno, liberale fino al fischio dei primo inning.

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