martedì 29 novembre 2011

Monti, e le province?

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Il 5 dicembre il Governo Monti presenterà in Consiglio dei Ministri le prime misure contro la crisi economica, finanziaria e soprattutto di fiducia che attanaglia il nostro Paese; il cosiddetto "effetto Monti" ha bloccato la salita incontrollata dello spread che si era verificata negli ultimi tempi del Governo Berlusconi IV, ma non è stato sufficiente per ingenerare un meccanismo virtuoso di discesa in grado di calmierare interessi sul debito ormai insostenibile. È infatti chiaro che se il nostro PIL cresce di frazioni di punto percentuale ogni anno, ed il nostro debito a ritmi decine o di volte superiore il default per l'Italia sarà certamente una prospettiva inevitabile.

Nelle intenzioni del Governo rigore, crescita ed equità dovranno essere i tre pilastri su cui si baserà l'intera azione politica dell'esecutivo, come dichiarato dal nuovo Presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento al Senato della Repubblica.
Uno spazio rilevante di quel discorso di Monti era stato proprio dedicato all'equità, e all'interno di tale capitolo le riduzioni dei costi della politica costituivano un passaggio significativo del discorso del Presidente del Consiglio.

Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l'Europa.

Mario Monti ha quindi espressamente inserito l'eliminazione delle province - da ottenersi in due passaggi, prima con una riduzione con una legge ordinaria e successivamente una soprressione totale con legge costituzionale - nel suo programma di governo, eppure tra le mille indiscrezioni filtrate in attesa del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre, non è apparso nulla del genere.
Una nuova riforma delle pensioni, una piccola patrimoniale, il ritorno dell'ICI... ma niente sulle province, ed in generale niente che possa essere ricondotto al tema della riduzione dei costi della politica, o, detto in altri termini, all'abbattimento dei privilegi della Casta.

Già in passato Città Democratica aveva tentato di offrire un metodo oggettivo e riproducibile per determinare quali sono le province superflue ed al contempo identificare un metodo semplice di aggregazione.
Il metodo è stato ad oggi ulteriormente raffinato, allo scopo di fornire una fotografia ancora più precisa - nonché aggiornata temporalmente - del quadro del Paese.

Lista delle province
italiane

La tabella sopra riportata mostra la lista delle province italiane, per le quali sono state riportate le informazioni relative a popolazione, superficie in km2 e prodotto interno lordo. La moltiplicazione di questi tre coefficienti è stata utilizzata per creare un coefficiente di merito, in cui svetta, staccando nettamente tutte le altre, la provincia di Roma. Infine, viene esplicitato un semplice rapporto percentuale tra i coefficienti, che evidenzia come tra la testa e la coda della classifica vi sia un rapporto di oltre 10.000.

Il processo di aggregazione si basa sui seguenti principi:
  • aggregare le province in maniera da ridurre di un fattore 10 il rapporto tra la provincia a coefficiente più alto e quella a coefficiente più basso
  • non unire province appartenenti a regioni differenti
  • unire una provincia alla provincia confinante con coefficiente più basso
  • non dividere i comuni appartenenti alla medesima provincia

Il risultato ottenuto può essere visualizzato nella seguente tabella.

Proposta di aggregazione
delle province italiane

Applicando le quattro semplici regole sopra esposte, è possibile in primo luogo ridurre le province italiane da 110 a 83, riportandole al valore più basso dal lontano 1926; sebbene si possa obiettare che rispetto a quel periodo la popolazione italiana è indubbiamente incrementata, è altrettanto innegabile che è aumentata la capacità e la velocità di fornire servizi, giustificando quindi il paragone.
Le regioni impattate dai cambiamenti sarebbero:
  • Abruzzo: da quattro a tre province
  • Basilicata: da due a una provincia
  • Calabria: da cinque a tre province
  • Campania: da cinque a quattro province
  • Emilia Romagna: da nove a otto province
  • Friuli Venezia Giulia: da quattro a due province
  • Lazio: da cinque a quattro province
  • Liguria: da quattro a due province
  • Lombardia: da dodici a dieci province
  • Marche: da cinque a quattro province
  • Molise: da due a una provincia
  • Piemonte: da otto a cinque province
  • Sardegna: otto a quattro province
  • Sicilia: da nove a sette province
  • Toscana: da dieci a otto province
  • Umbria: da due a una provincia
In tre casi (Basilicata, Molise e Umbria) si arriva ad avere una sola provincia, le cui funzionalità potrebbero essere assorbite dalla regione portando a 80 il numero complessivo degli enti.

Sia dal punto di vista geografico che da quello di vista politico la manovra di taglio è sufficientemente bipartisan per evitare campanilismi; al contrario, è piuttosto chiaro che si tratta di una manovra in grado di unire la Casta contro di essa. Ma proprio per questa ragione, quando ancora l'utilità di Mario Monti per i partiti è elevata e la crisi è da combattere, una simile riforma sarebbe da attuare con urgenza. Maggiori saranno i ritardi, maggiore sarà l'opposizione che i partiti sapranno mettere in campo.
Se Monti vuole dare un vero segnale di discontinuità al Paese, questo è uno dei punti principali su cui battere, forse non così rilevante dal punto di vista finanziario, ma sicuramente vincente dal punto di vista dell'opinione pubblica.

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