sabato 23 aprile 2011

Intervista a Cristiano Bottone

Panorama di Monteveglio (BO)

Le Transition Towns sono un movimento, che forse ricondurre al termine "ecologista" può apparire riduttivo, sviluppatosi nell'ultimo lustro nei paesi anglosassoni e rapidamente diffusosi nel mondo.
L'obiettivo del movimento è preparare e guidare le comunità negli inevitabili mutamenti sociali, economici e culturali provocati dal riscaldamento globale e dal progressivo innalzamento dei prezzi delle fonti energetiche fossili. Questo obiettivo viene raggiunto attraverso campagne di sensibilizzazione e stesure di documenti programmatici di ambito multidisciplinare (edilizia, agricoltura, sanità, istruzione...) in grado di guidare le comunità locali, ciascuna con le proprie peculiarità e le proprie caratteristiche, lungo un percorso di decrescita energetica a basso impatto.
Anche in Italia il movimento è in rapida espansione, con alcune comunità in cui la politica locale ha fatto proprie le idee del movimento realizzando quella sinergia che è la Città di Transizione vera e propria, e molte altre realtà che lentamente si stanno avvicinando a questo obiettivo. L'Emilia Romagna si è dimostrata il terreno più fertile per il movimento, con movimenti locali che spaziano dai piccoli comuni ai capoluoghi come Reggio Emilia o Ferrara, fino ad arrivare alla stessa Bologna; al di fuori dei confini regionali, spiccano realtà come Lucca, L'Aquila o Torino.
Siamo onorati di avere ospite di Città Democratica Cristiano Bottone, tra i fondatori del movimento a Monteveglio (BO), la prima Transition Town italiana e certamente il modello di riferimento per tutti i gruppi formatisi in seguito.

Cristiano Bottone, vuole spiegare cosa vi ha spinti alla creazione del movimento a Monteveglio?
Quando ti rendi conto della situazione effettiva del mondo in cui viviamo capisci che bisogna subito fare qualcosa. Ci sono però due problemi, non è facile arrivare a "rendersi conto" perché viviamo in una società estremamente complessa in cui capire cosa accade davvero e in modo oggettivo è paradossalmente davvero difficile. Serve il tempo di reperire i dati, l'abilità di scovarli e poi serve la forza per credere che siano veri. Così si scopre che è finita l'era del petrolio a basso prezzo e cosa questo significherà per le nostre economie e i nostri stili di vita. Si scopre che stiamo modificando il clima in modo irreversibile, distruggendo la biodiversità, inquinando talmente tanto che i nostri figli nascono già programmati per ammalarsi, producendo un debito mondiale incolmabile, aumentando il livello di paura ansia e infelicità nel mondo invece di ridurlo, ecc.
I dati parlano chiaro e fanno paura ma, se arrivi a conoscerli, poi ti guardi intorno e pensi che non puoi restare con le mani in mano. Qui nasce il secondo problema: che fare in una situazione così difficile? Mentre ero alla ricerca della risposta ho scoperto Rob Hopkins e le attività del Movimento delle Transition Towns. Ho colto la straordinaria novità che rappresentava e subito pensato che potevamo farlo anche noi in Italia, almeno potevamo provare. Io vivo a Monteveglio e ho iniziato da lì, con la fortuna di incontrare altri nella mia comunità interessati a sperimentare questo percorso.


Quali sono state le tappe più significative del processo?
Tutto parte dal comprendere la realtà, dal diventare consapevoli, dall'arrivare a capire che un cambiamento è necessario e non può che portarci grandi benefici. Quello che si fa in una iniziativa di Transizione è creare un piccolo gruppo di persone disposte ad agire come facilitatori del processo (il concetto di facilitazione è poco conosciuto in Italia, ma molto diffuso nei paesi anglosassoni). Il loro compito è creare le condizioni perché il resto della comunità possa partecipare alla riprogettazione collettiva del proprio modo di vivere.
Grazie alle prime sperimentazioni avvenute all'interno del movimento, abbiamo capito che ci sono una serie di passaggi cruciali che aiutano il processo, vengono normalmente chiamati i 12 passi e permettono al Gruppo Guida di procedere con una certa sicurezza nelle prime fasi di lavoro.
Si parte sempre dalla consapevolezza, dal mettere a disposizioni di tutti i dati necessari a comprendere la realtà in cui viviamo. Si cerca inoltre di ricucire le relazioni all'interno della comunità. Può trattarsi di un piccolo centro (come Monteveglio) o di una strada di Roma o Milano, in ogni caso si scopre subito che tra le persone non ci sono più relazioni, canali di comunicazione, familiarità, solidarietà, rapporti. Questo è il secondo compito del Gruppo Guida, fare da ponte tra i tanti attori della comunità. Quando queste condizioni cominciano a realizzarsi, il resto viene quasi da solo, le persone scoprono la voglia di "fare qualcosa" e trovano altre persone con cui farlo, il processo è partito, ora va solo facilitato.


Quali sono state le principali difficoltà nel processo di sensibilizzazione della popolazione locale?
Bisogna sapere che il lavoro di ricucitura che descrivevo prima sarà quasi sicuramente lento e progressivo. All'inizio si procede anche con una persona alla volta, ma va benissimo così. Si scoprirà poi che si tratta di un processo esponenziale e quindi, arrivato a un certo punto comincerà ad accelerare in modo naturale.
Il vero problema è che se non si è preparati a questo ci si potrebbe demoralizzare nelle fasi iniziali e smettere di fare le cose nel modo giusto. L'attuale sistema ci spinge a organizzare cose inutili, come riempire sale da 300 persone per vedere un bel documentario sul riscaldamento globale. In questo modo ci sembra di fare prima, di arrivare a tante persone, ma non è così. L'effetto che si ottiene lavorando su piccoli gruppi, direttamente a casa delle persone è infinitamente più potente, in quella condizione le persone possono davvero pensare e interrogarsi. L'altra accortezza è nel lasciare spazio a ogni tipo di reazione. A noi interessa fornire le informazioni, non soluzioni preconfezionate. Non giudichiamo nessuno, non dividiamo il mondo in buoni e cattivi. Non proponiamo dogmi o ricette o buone pratiche. È grazie a questo atteggiamento che le persone, quando si sentono pronte, cominciano a modificare pezzetti della propria vita. È così quindi che la realtà delle cose comincia a cambiare.


In quali sottogruppi risulta attualmente strutturato il movimento a Monteveglio?
A Monteveglio non ci sono sottogruppi molto strutturati e la cosa sinceramente mi fa molto piacere. Certo c'è chi preferisce impegnarsi in attività agricole, nell'autoproduzione, nell'insegnamento, negli aspetti tecnologici, ma alla fine notiamo una bellissima trasversalità. È naturale che sia così. Non si può parlare di agricoltura senza parlare di energia, di educazione, di edilizia e di tutto il resto. Non esistono tematiche isolate, ogni cosa dipende da tutte le altre. E quindi, anche chi è appassionato di pannelli fotovoltaici è facile che voglia fare il pane, scoprire l'alimentazione sostenibile, partecipare al PiediBus, ecc.

Vuole illustrare brevemente le road map definite dal movimento per la comunità?
Questa domanda è molto utile. L'idea comune è che ci sia qualcuno, "il movimento" ad esempio, che definisce la road map della comunità. Quello che noi facciamo è lavorare perché sia la comunità a definire la road map della comunità: una bella rivoluzione quindi.

Vista da fuori, forse con un pizzico di ignoranza e pregiudizio, una Transition Town può essere vista come una versione riveduta e aggiornata di una comune hippy. Vuole dare invece un'immagine più concreta e veritiera di cosa significhi vivere in una Città di Transizione?
Una Città di Transizione non è una "comunità volontaria", ma esattamente l'opposto. In una comunità volontaria tante persone che si sentono affini tra loro, magari perché condividono una certa religione o un certo modo di interpretare la vita, si separano da tutti gli altri in modo da fare quello che vogliono senza interferenze.
L'idea della Transizione è che le persone che già condividono uno spazio fisico perché vivono tutte nella stessa zona di una città, o in un piccolo centro, possono trovare il modo di rispondere collettivamente alle sfide del presente conservando la loro identità e libertà. Anzi, a dire il vero, la nostra idea è che libertà, responsabilità e consapevolezza siano enormemente accresciute da questo processo, permettendo al gruppo di immaginare le proprie strategie per il futuro.
Nella Transizione non c'è proprio nulla di naïf, tutto si basa sulle più avanzate consapevolezze scientifiche e sociologiche di cui disponiamo come razza umana. I contributi a questo processo sono arrivati e continuano ad arrivare dalla scienza sistemica, dalla ecopsicologia, dai fisici, dai climatologi, dagli psicologi delle dipendenze, dal marketing, dall'ambito della facilitazione. La Transizione può assomigliare, osservata da lontano, ad altre cose che abbiamo già visto, ma è assolutamente diversa da tutto. È per questo che molti credono, stanno cominciando a crederci anche istituzioni e politici, che sia l'esperimento più in interessante in corso al momento.


Affinché un Comune possa diventare realmente una Città di Transizione, vi deve essere, immagino, un recepimento della vostra road map a livello legislativo locale. Come sono i rapporti con il Comune di Monteveglio?
Anche questa domanda è sintomatica. Per quel che ci riguarda, si diventa Città di Transizione quando nasce il Gruppo Guida, ovvero quando qualcuno avvia il processo nel proprio contesto sociale. Non può farlo un comune o una istituzione formale. Non si può diventare Città di Transizione per delibera.
Quello che le pubbliche amministrazioni possono invece fare è supportare il processo, o anche facilitarne la nascita diffondendo informazioni, organizzando incontri divulgativi, fornendo spazi, risorse, ecc.
Monteveglio è un caso un po' speciale, al momento viene citato in tutto il mondo come l'esempio più interessante di collaborazione tra iniziativa di transizione e amministrazione locale. La nostra giunta ha infatti deliberato una partnership strategica con l'associazione Monteveglio Città di Transizione, dichiarando di condividerne visione e obiettivi e impegnandosi ufficialmente a fare la propria parte nel processo in corso.


Quali sono i principali provvedimenti presi dal Comune tra quelli da voi proposti?
Con il Comune si cerca di lavorare in gruppo, quando si individua l'energia nella comunità per affrontare un certo tema, ognuno cerca di fare la propria parte per facilitare il processo. Facciamo un esempio? Quando è nato il gruppo di acquisto di impianti fotovoltaici i facilitatori della transizione (il Gruppo Guida) si sono occupati delle parti informative, divulgative e del lavoro di gruppo necessario a prendere le decisioni, analizzare le offerte dei potenziali fornitori ecc. Il Comune si è preoccupato di semplificare il regolamento comunale per l'installazione e ha fatto in modo che l'ufficio ambiente fornisse alle persone interessate le modalità di ingresso nel Gruppo di Acquisto, ha partecipato agli incontri divulgativi per sostenere l'iniziativa.

Le tematiche ambientali, in Italia, costituiscono un punto di scontro politico. Vi sono state difficoltà particolari nell'avvicinare la gente al vostro movimento legate a questo problema? Avete mai rischiato di apparire come politicamente schierati, o di essere strumentalizzati da una parte politica?
A noi si avvicina chi si vuole avvicinare, e chi non si vuole avvicinare ha tutto il diritto di non farlo. Non c'è altro modo, se si vuole rispettare la liberà di ognuno. Per quanto riguarda il rischio di strumentalizzazione è chiaro che i tentativi ci sono e il rischio è sempre presente. C'è però da dire che la politica o i partiti non sono minimamente attrezzati per gestire un processo di questo tipo, quindi i tentativi visti fino ad ora sono stati piuttosto goffi e a volte si risolvono in piccoli boomerang per chi li pratica.
Anche il rischio di apparire schierati è sempre presente, soprattutto per chi osserva da lontano, rimanendo un po' esterno, per chi non approfondisce. In alcuni casi, sia in Italia che all'estero, è invece il Gruppo Guida stesso che finisce per schierarsi è lì il processo finisce o si trasforma in altro. Può capitare ed è già capitato.


Affinché i risultati ottenuti nel tempo non vadano persi al primo cambio di legislatura, occorre che l'intero mondo politico locale sia convinto della bontà delle vostre ragioni. Realmente la transizione è ormai nel DNA dell'intera comunità, o la sopravvivenza di Monteveglio come Transition Town dipende dal colore del sindaco?
No, questo non è un gioco. Il petrolio non smetterà di esaurirsi al prossimo cambio di sindaco, non importa di che colore sia. Lo stesso vale per il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare ecc. Non c'è alcuna volontà di politico locale in grado di alterare le leggi della termodinamica o di fermare l'entropia. Agli atomi che compongono questo pianeta non interessa cosa pensiamo, loro fanno gli atomi e basta. Se il rame finisce, non telefona prima ai partiti per chiedere se può esaurirsi o se la cosa può causare disturbo.
La transizione non dipende dal sindaco, o dai politici o dai capi di stato. La transizione è già in corso, ci siamo tutti dentro, quello che si può cercare di fare è di guidarla invece che subirla, di sfruttarla come occasione per progredire e stare meglio invece che crollare nel caos. La Transizione non si diffonde perché noi siamo bravi o perché conosciamo qualche trucco, si diffonde perché quando le persone aprono gli occhi capiscono che devono intervenire in ciò che accade.


Monteveglio si può considerare la capostipite, il riferimento delle Transition Towns italiane. In che modo avete contribuito alla diffusione del movimento nel nostro Paese?
Sin dall'inizio abbiamo creato anche Transition Italia, che ha sede a Monteveglio e si occupa delle attività di facilitazione e formazione a livello nazionale e anche europeo, perché siamo stati i primi a partire nell'Europa continentale. Alcuni dei nostri facilitatori stanno aiutando il lavoro anche in Austria, Germania e Francia.
Più in generale Transition Italia si occupa anche di mantenere attive tutte le relazioni con il network internazionale.


Un'ultima domanda: come immagina la Monteveglio del futuro, e, con un pizzico di ambizione, l'Italia del futuro?
Immagino un luogo davvero magnifico, circondato da boschi e coltivazioni sostenibili gestite da una fitta rete di produttori locali. Gran parte del cibo e delle risorse necessarie alla vita della comunità proverrà dal territorio. Il patrimonio edilizio sarà progressivamente riconvertito in modo da non richiedere l'uso di energia fossile e non produrre emissioni dannose. Una rete stradale più leggera permetterà gli spostamenti necessari verso le comunità vicine e l'accesso alla rete ferroviaria per gli spostamenti più lunghi.
L'economia locale sarà nuovamente prospera e la ricchezza prodotta dagli abitanti servirà di nuovo a creare valore lì dove vivono. La vita delle persona sarà più connessa e sensata, piena di significato, la disoccupazione sconosciuta. Avremo molto più tempo per vivere, tanto capitale naturale e tanta resilienza su cui fare affidamento. Scuole di tipo completamente nuovo e in grado di trasmettere e espandere la cultura dell'equilibrio e dell'equità invece che quella della competizione, il pensiero sistemico si affiancherà stabilmente alla capacità di approfondimento un po' miope che ora domina la scena culturale.
La maggior parte dell'energia necessaria arriverà da un mix di fonti geotermiche e eolico di alta quota. La vita culturale e la ricerca saranno enormemente favorite dall'apertura a una grande rete mondiale di comunità simili e similmente aperte allo scambio e all'interazione, vicine, lontane, lontanissime.
Immaginate poi un'Italia, con tutte le sue ricchezze naturali e culturali, popolata di tante cellule di organizzazione sociale come questa ed ecco che il nostro paese risulterà uno dei luoghi più belli della Terra. Questa riorganizzazione permetterebbe infine alle aree del mondo che ancora non vedono risposta nemmeno ai problemi primari dell'uomo di svilupparsi in equilibrio con le proprie risorse.
Suona di utopia, ma sappiamo che si può fare.


Ringraziamo ancora il dottor Bottone per la cortesia e la disponibilità, e rinnoviamo i nostri migliori auguri per questa iniziativa che, grazie anche al suo impegno, è diventata ormai un esempio da imitare nell'intero Stivale.
Per saperne di più, rimandiamo al blog ufficiale Monteveglio Città di Transizione, una vera miniera di informazioni per tutti gli interessati, e a Transition Italia per informazioni generali sul movimento.

L'intervista è disponibile in formato .pdf a questo link.

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